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Dal Castello di Casotto la storia di Maria Clotilde di Savoia

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Al Castello di Casotto tutto era pronto per accogliere la principessa Maria Clotilde di Savoia: l’argenteria lucidata, le stanze spolverate e in perfetto ordine, la cappella riaperta, per abbracciare come ogni estate la profonda fede della primogenita di Re Vittorio Emanuele II.

Al suo arrivo, Maria Clotilde non avrebbe mai immaginato che la sua devozione sarebbe stata messa a dura prova. Durante l’estate del 1858 la principessa, allora quindicenne, avrebbe dovuto superare l’ostacolo più grande della sua vita, dopo la morte dell’adorata madre, Maria Adelaide.
Prima di raccontarti a quale destino sarebbe andata incontro, procediamo un passo alla volta, un po’ come facevano i reali quando raggiungevano la Reggia e un po’ come fanno oggi i loro visitatori, me compresa.

Come vivevano i Savoia nel Castello di Casotto

Per Maria Clotilde, il tempo al Castello fluiva come le acque chete e limpide del Rio Casotto, cullato da un dolce far niente. Sembrava tutto così intimo, semplice ed essenziale in quel piccolo mondo, circondato dai boschi e rallegrato dal canto degli uccellini. Il loro cinguettio musicava il silenzio della valle, interrotto bruscamente solo dai richiami dei cacciatori, tra cui il Re in prima fila, dal latrato dei cani e dagli spari.

Ma tutti quei rumori echeggiavano da una parte all’altra della montagna per poi cadere nel vuoto, sempre più lontani.
Altrettanto distante e poco conforme alla vita di corte garessina era la rigidità del protocollo reale, a cui il sovrano si era adeguato a fatica tra una maledizione e l’altra.

La maledizione del Castello di Casotto e la Dama Nera

A tal proposito, il Castello e il territorio circostante furono oggetti di maledizioni da secoli, prima ancora di diventare residenza sabauda. Dal Medioevo fino all’invasione napoleonica, l’edificio fu infatti una Certosa, anzi la Certosa, la prima in Italia. Tra le sue mura la ferocia delle truppe napoleoniche a danno dei certosini scatenò l’ira dei monaci a partire dal priore, che maledì chiunque fosse poi entrato in possesso dell’edificio e del circondario.

Al di là della maledizione, il castello ospitava e ospita ancora oggi una presenza sinistra, a dir poco inquietante. È la misteriosa Dama Nera, probabilmente una nobildonna genovese ritratta dal grande pittore fiammingo Van Dyck. Oltre a scrutare ogni persona che le passi di fronte con un’aria poco rassicurante, la signora abbandona la sua abituale postazione per vagare di notte tra le sale del castello.

Maria Clotilde e la Dama Nera

Il ritratto della Dama Nera

A incontrare la Dama Nera fu la stessa Maria Clotilde proprio durante l’estate del 1858. Che fosse un sogno o un’allucinazione rimane tuttora un’incognita. Se lo chiedono ancora oggi i restauratori e il giovane custode della reggia, anche loro vittime di episodi inspiegabili, legati proprio a quella signora in nero. D’altra parte, si sa che il Cuneese è un luogo magico, popolato di personaggi leggendari, ineffabili e oscuri. Puoi averne un assaggio nell’articolo sulle masche.

Comunque, ti basti sapere che quanto predetto dall’enigmatica figura a Maria Clotilde diventò ben presto realtà: la principessa avrebbe avuto un destino infelice. Le prime avvisaglie arrivarono quando Vittorio Emanuele II disse alla sua figlia prediletta, che chiamava affettuosamente Chechina, di doverle parlare.

A sua insaputa, Maria Clotilde si ritrovò nel bel mezzo di una spinosa questione politica, orchestrata da Camillo Benso Conte di Cavour, per sancire un’alleanza con la Francia di Napoleone III.

Maria Clotilde e le trame segrete del Risorgimento italiano

L’imperatore francese vedeva di buon occhio un’Italia unita e libera. Tuttavia, tra le svariate condizioni presentate a Cavour per sostenere la causa risorgimentale, c’era anche un matrimonio, utile a rafforzare il legame tra i due stati alleati. Questo disegno politico delineava un’unione tra il nipote di Napoleone III, Gerolamo, e una principessa di Casa Savoia. Indovina chi fu la prescelta?

Proprio lei: Maria Clotilde. A quella proposta, il re Vittorio Emanuele II andò su tutte le furie e rifiutò di dare in sposa la sua Chechina a Plon Plon. Così era soprannominato Gerolamo Bonaparte. Un nome, una garanzia, infatti il promesso sposo era l’esatto contrario di Maria Clotilde.

  • Lei era giovane, credente, educata, fine e pudica
  • Lui aveva l’età della madre di Maria Clotilde. Era ateo, grezzo, goffo e libertino

Gli opposti si attraggono, ma questa doveva essere l’eccezione che conferma la regola.

La scelta di Maria Clotilde tra cuore e ragione

Dopo il no di Vittorio Emanuele II, su insistenza del Conte Cavour, il re parlò alla figlia della questione, come era nel suo stile, senza tanti giri di parole né convenevoli. Dettaglio non trascurabile: il re concesse alla figlia la libertà di scegliere se sposare o meno Gerolamo.

Così iniziò il dissidio interiore di Maria Clotilde: seguire il suo cuore, non ancora pronto per compiere un passo così importante o dare retta alla ragione, o meglio, alla ragion di stato. Da quella scelta dipendeva la sua felicità, quella di una giovane donna che si affacciava alla vita. Da quella scelta dipendeva anche la felicità del suo Paese, del suo popolo e di suo padre.

La cappella reale della Reggia di Casotto

Oddio, che fare? Pregare, pregare, pregare e ancora pregare. Questa era la risposta che si diede fin da subito Maria Clotilde. Stava per consumarlo l’inginocchiatoio, ancora oggi visibile nel Castello. Ah, se quel complemento d’arredo potesse parlare! Darebbe voce alle paure, angosce, dubbi e tormenti che accompagnarono la principessa senza darle mai tregua: di giorno come di notte. Nemmeno la Contessa di Villamarina, sua dama di compagnia, nonché grande amica, le fu di conforto. Le due furono sempre pedinate e spiate. Le loro parole origliate, le loro lettere intercettate.

Tra una preghiera e un pianto, la principessa dovette anche gestire la corrispondenza con il Conte Cavour, sempre più frequente e insistente. Il diplomatico capì che la principessa era titubante e poco incline a sposarsi con uno sconosciuto, per di più così tanto vecchio rispetto a lei. Eppure quel matrimonio s’aveva da fare, per l’unità d’Italia.

La decisione di Maria Clotilde: il sacrificio

L’estate nel Castello di Val Casotto finì e la principessa prese la sua decisione. Ancora una volta fu la devozione a guidarla: nei confronti di Dio, verso lo Stato, il popolo e suo padre. Così il 30 gennaio 1859, nella cappella reale della Sacra Sindone, Maria Clotilde sposò Gerolamo Bonaparte con grande disappunto della corte, a partire dal re. Nel vedere che lo sposo riuscì persino ad addormentarsi durante la cerimonia, a Vittorio Emanuele II sorse un dubbio: “Ma questi due si saranno poi proprio sposati?”.

L’atmosfera era quella di un funerale più che di un matrimonio: Maria Clotilde era pallida come uno straccio, gli occhi arrossati e segnati da profonde occhiaie. E che dire del suo consorte? C’è poco altro da aggiungere! Se non altro, quell’unione servì a rafforzare l’alleanza italo-francese, ma a quale prezzo!

La principessa Maria Clotilde di Savoia e Gerolamo Bonaparte
La principessa Maria Clotilde e Gerolamo Bonaparte.
Immagine tratta da Disderi & Co.

Il destino della principessa fu infelice, proprio come aveva predetto la Dama Nera, nonostante la principessa si facesse forza e coraggio con la sua inesauribile fede. Era l’unico rimedio che le fosse rimasto per scacciare malumore, tristezza e delusione di fronte alle sregolatezze del marito, a partire dagli innumerevoli tradimenti.
Finalmente arrivò l’occasione per poter lasciare il consorte in modo amichevole, senza alcuno scandalo e soprattutto senza andare contro i precetti religiosi a Maria Clotilde tanto cari.

Nel 1870, dopo la sconfitta di Sedan e 9 anni in seguito all’Unità d’Italia, Napoleone III e tutti i suoi familiari dovettero lasciare Parigi. Qui le strade dei due mal assortiti sposi si divisero. Maria Clotilde si ritirò a Moncalieri dove, seguì la sua più grande e profonda vocazione: la vita monacale, praticando la carità cristiana attraverso numerose opere pie e di beneficienza. Il suo stile di vita le valse il titolo di “Santa di Moncalieri”. Per Maria Clotilde, non poteva essere coniata definizione migliore. Anche nei confronti di suo marito continuò a dimostrarsi caritatevole. In punto di morte, si precipitò a Roma al capezzale di Gerolamo, per assisterlo con la generosità che la caratterizzava.

Riflessioni sulla storia del sacrificio di Maria Clotilde

Se ci fossi stata tu al posto di Maria Clotilde,
quale decisione avresti preso?

Mi sono fatta questa domanda e d’istinto ho risposto che mi sarei rifiutata, come immagino avrebbe fatto la maggior parte delle donne di oggi. Poi ho pensato a come fosse considerato il matrimonio nell’Ottocento. Si trattava di un accordo politico e/o economico. Non ci si sposava per amore. Al massimo e, forse in rari casi, ci si innamorava dopo, quando i due coniugi iniziavano a conoscersi. Ebbene sì, ci si sposava tra sconosciuti oppure tra cugini anche prossimi. Perciò, la mentalità era ben diversa rispetto a quella dei giorni nostri.

Bandiera italiana

Inoltre, l’attaccamento alla patria, il sogno di una nazione unita, libera e pacifica, sono tutti valori meno sentiti ora rispetto al periodo di fervore risorgimentale. Forse oggi li diamo per scontati oppure li abbiamo un po’ dimenticati, malgrado la nostra storia, compresa quella più recente, ne sia pregna. Contestualizzando meglio la vita di Maria Clotilde e mettendomi nei suoi panni, capisco la sua scelta, il suo sacrificio scolpito nelle pagine del Risorgimento e sulla lapide commemorativa all’ingresso del Castello di Casotto.

Nonostante io sia una grande sostenitrice delle storie di donne ribelli, rivoluzionarie e anticonformiste, riconosco e rispetto l’immenso coraggio, oltre alla profonda maturità di Maria Clotilde. Queste sue qualità furono la sua forza, alimentata da una devozione tanto religiosa quanto civica. L’unità d’Italia vale ben un matrimonio e Sia fatta la volontà di Dio furono, infatti, i suoi pensieri più ricorrenti. Il suo modo di pensare e di agire innescò una concatenazione di eventi che trasformarono il nostro Paese in una nazione finalmente libera, unita e indipendente. Per tutto ciò, non posso che ringraziare Maria Clotilde e ammirare il suo sacrificio.

E tu che cosa ne pensi di questa storia extraordinaria,
in cui il futuro di una giovane donna si intrecciò con il destino di un intero Paese?

Articolo ispirato dalla visita guidata durante le Giornate FAI d’Autunno.

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