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Le masche in Piemonte: storie di magia tra streghe e demoni

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La luna piena spettatrice di storie di masche

La luna piena alta in cielo è la spettatrice ideale delle storie che sto per raccontare. Le protagoniste sono le masche, personaggi che popolano il folclore piemontese e, in modo particolare, quello della Provincia Granda. Dalle campagne ai monti passando per le colline, il Cuneese è il loro regno d’elezione. Qui, per secoli, le masche hanno seminato paura e suscitato lo sgomento nonché la disapprovazione della popolazione locale.

Chi ha avuto la disgrazia di trovarsi a tu per tu con una masca o, ancor peggio, chi è stato vittima dei suoi malefici, ne conserva un ricordo vivo e spaventoso, tramandato da una generazione all’altra durante le veglie invernali, le vija. Quando le giornate si allungavano e diventava impossibile lavorare nei campi e nelle vigne, i membri di una o più famiglie si radunavano nell’ambiente più caldo delle abitazioni dell’epoca: la stalla.

Chiabotto di montagna location di storie delle masche
Teit Marin, Vernante (CN), la casa dei miei nonni e bisnonni, luogo di veglie invernali e di racconti di masche

Riscaldati dalla paglia e dal respiro degli animali, le donne filavano la canapa e la lana, mentre gli uomini riparavano attrezzi da lavoro, impagliavano le sedie e fabbricavano zoccoli. Ognuno aveva il suo compito, interrotto da momenti di preghiera, gioco, canto e racconto.

Ogni vijà aveva infatti il proprio cantastorie preferito. In generale, era l’uomo più anziano della famiglia che raccontava con grande bravura, pathos e trasporto per lo più storie di masche e di sarvanot (di cui tratterò in modo approfondito in un altro articolo). Mio bisnonno era proprio uno di loro e ancora oggi mia mamma e mia madrina, allora bambine, rabbrividiscono nel ripensare ai suoi racconti spaventosi di masche. Ma che cos’erano o chi erano le masche? Procediamo per ordine a partire dalle origini e dal significato di questa parola esoterica: masca.

Che cosa significa masca

La masca o strega del Piemonte secondo Cristina Bertolino

Il termine masca ha origini incerte. Sembra trovare affinità con il francese masque, l’inglese mask, lo spagnolo mascára, quindi con la loro traduzione italiana: maschera. L’arabo maskarah (buffone, burattino) potrebbe aggiungere un altro tassello sulla provenienza e significato di masca.

Un legame con le maschere è plausibile soprattutto per la valenza simbolica del carnevale, come momento di passaggio dall’inverno alla primavera, cioè dal regno dei morti a quello dei vivi. Morte e (ri)nascita sono i due capi dello stesso filo su cui la masca si destreggia come un’abile equilibrista.

Opera infatti nell’oscurità, nell’ombra, quando il diavolo e i demoni la fanno da padroni, ma è alla luce del sole che i risultati della sua attività si manifestano in tutto il loro orrore, come dispetti (nei casi meno gravi), altrimenti come scempi, catastrofi, calamità naturali e maledizioni.

La prima comparsa del termine masca negli atti ufficiali risale all’Editto di Rotari del 643 che riporta: strigam, quam dicunt Mascam, cioè strega, che chiamano Masca. Quindi la masca è una strega, anzi, la strega è una masca? Non proprio: sarebbe troppo facile e l’argomento si potrebbe liquidare in quattro e quattrotto! Continua a leggere il mio articolo e scoprirai davvero che cos’è una masca, o meglio, chi sono le masche.

Identikit di una masca

Le mani di una masca

La maggior parte delle storie sulle masche ha come protagoniste donne anziane, dall’aspetto poco gradevole, in alcuni casi persino deforme, per lo più vedove, solitarie, abituate a vivere ai margini della società.

Queste donne sapevano fare la fisica, vale a dire erano in grado di compiere dei riti magici grazie alla loro profonda conoscenza del mondo naturale. Con le erbe officinali e chissà con che cos’altro preparavano ogni sorta di intruglio, pozione e rimedio. Per la riuscita delle loro operazioni, si affidavano a incantesimi, formule magiche e fatture, scritte sul Libro del Comando.

Spesso venivano identificate come esseri diabolici, ancelle del demonio, perciò perseguitate fino alla morte. Difficile stimare quante donne piemontesi furono processate per mascheria, sottoposte a torture durante processi sommari per ottenere, anzi estorcere, la confessione peccaminosa: ammettere di essere una masca.

Questo iter giudiziario fu istituito dal tribunale della Santa Inquisizione e non era tanto diverso da quello riservato alle streghe, soprattutto per le conseguenze: le masche venivano bruciate vive sul rogo, proprio come le loro più note colleghe.

Era sufficiente un sospetto, magari legato a un comportamento considerato anomalo e forse alimentato dall’invidia, dall’antipatia o dal pregiudizio nei confronti della presunta masca. Da lì si diffondeva il pettegolezzo, che prendeva sempre più consistenza, fino a trovare dei riscontri in una o più circostanze poco chiare, di cui la masca veniva considerata responsabile.

Tutto questo avvenne nel 1495 a Rifreddo e Gambasca, paesini della Valle Po a pochi km da Saluzzo (CN), dove si consumò una sanguinaria caccia alle masche.

La storia delle masche di Gambasca e Rifreddo

Lo spirito di una masca o strega

Dopo una serie di eventi tragici, tra cui la morte di una giovane inserviente nel monastero cistercense femminile di Rifreddo, la badessa convocò l’inquisitore milanese Vito dei Beggiami.

Dopo il suo arrivo, il teologo istituì il tempus gratiae, (tempo della grazia), tre giorni durante i quali chiunque ritenesse di essere coinvolto nell’eresia era tenuto a presentarsi davanti a Vito per confessare quanto sapeva o sospettava di sé e degli altri. Grazie a questo gesto, il reo confesso avrebbe ottenuto l’assoluzione da qualsiasi delitto contro la fede.

Puoi immaginare il via-vai di persone che si recarono da Vito e che continuarono a interpellarlo anche una volta terminato il tempo della grazia. In particolare, nove donne furono accusate e/o si autoproclamarono, chi prima e chi poi, masche in un crescendo di convocazioni, interrogatori, minacce e privazioni della libertà:

  1. Caterina Bonivarda
  2. Giovanna Motossa
  3. Giovannina Giordana, figlia di Giovanna Motossa
  4. Caterina Bianchetta
  5. Giovanna della Santa
  6. Caterina Borella
  7. Giovanna Cometta
  8. Bilia dei Galliani
  9. Romea dei Sobrani
Il rito di una masca intorno al fuoco

Le nove donne dichiararono di appartenere a una setta demoniaca che intratteneva rapporti carnali con il diavolo e altri demoni vicino al fiume, con tanto di danze e spregio della croce.

Per volere di Satana, queste masche si sarebbero macchiate dei più efferati delitti, a partire dall’assassinio di Maria, l’inserviente del monastero, passando per l’uccisione di capi di bestiame, fino agli omicidi di bambini e neonati, seguiti dalla riesumazione dei loro corpi per compiere riti magici inenarrabili.

Le nove masche furono tutte condannate alla pena di morte sul rogo, come riportato negli atti processuali ancora conservati nell’archivio storico del comune di Rifreddo. Questi fatti storici hanno ispirato la manifestazione: Le notti delle Streghe di Rifreddo, nominata Meraviglia Italiana. L’evento, che ti consiglio vivamente, si svolge in prossimità del 31 ottobre. Ripercorre la caccia alle masche lungo le strade e nelle corti delle cascine rifreddesi con variazioni sul tema molto suggestive e inquietanti.

Un’altra iniziativa che evoca la storia delle masche di Rifreddo e Gambasca è il cortometraggio: La Prima Ora di Buio, diretto e sceneggiato da Massimiliano Graziano, fotografo e film maker appassionato di storia medievale. L’opera ripercorre con accuratezza le vicende tragiche e realmente accadute nei due paesini del Saluzzese, mettendo al centro le nove donne accusate di mascheria, con un taglio horror tra il demoniaco e il dramma sociale

I poteri delle masche

La storia delle masche di Gambasca e Rifreddo avvicina questi personaggi alle streghe, soprattutto per i loro rapporti intimi con il diavolo e il loro legame di dipendenza con il signore del male. In tempi più recenti, le masche sembrano essersi emancipate dal demonio. Agiscono, infatti, in totale autonomia, pur sempre sospese tra il mondo dei vivi e dei morti, tra morte e (ri)nascita.

Inoltre, si indebolisce l’identificazione forzata con una donna della comunità. La masca diventa più che altro uno spirito che si incarna in un corpo di una persona. A volte può essere anche maschile (mascone) e assumere persino le sembianze del prete del paese. Non per questo, le masche incutono minor timore. I loro poteri le rendono tanto temibili quanto pericolose per l’andamento quotidiano della vita familiare e lavorativa.

La rappresentazione di fata, strega o creatura magica

Le masche, infatti, erano una continua minaccia per:
• donne
• bambini
• attività produttive
• faccende domestiche

Quindi, si rivelavano le principali sabotatrici della fertilità femminile sia umana che animale. Quando una donna o a una vacca non produceva più latte, era colpa delle masche. Inoltre, erano acerrime nemiche dei più piccoli, in modo particolare dei neonati. Un bambino moriva in culla? Le masche lo avevano soffocato!

Un ramo con sembianze mano umana

Erano anche responsabili delle calamità naturali, dalla grandine alla tempesta fino agli uragani e ai terremoti. Infine, avevano una natura molto pestifera e dispettosa: il latte cagliava? Gli attrezzi da lavoro o gli utensili da cucina sparivano, per poi venir ritrovati in luoghi improbabili? C’era di sicuro lo zampino delle masche!

Le masche possedevano, perciò, numerosi poteri tra cui:
spostarsi da un luogo all’altro in volo
fuoriuscire dal corpo in forme diverse (ad esempio, come insetti -> mosca o farfalla) per poi rientrarvi e assumere di nuovo sembianze umane
trasformarsi in esseri animali e vegetali, che se percossi, riflettevano anche sul corpo umano eventuali segni di violenza a danno della masca stessa.

La masca era mortale, perché mortale era il corpo della persona che l’ospitava. Per riuscire ad abbandonare la terra, la masca doveva lasciare in eredità i suoi poteri a una persona con cui era venuta in stretto contatto in fin di vita. Poteva essere una familiare o un’amica.

Baracco: il paese delle masche o delle maske

A proposito dei poteri delle masche, gli abitanti di Baracco, borgata monregalese vicino a Roccaforte di Mondovì, raccontano della presenza di un prete masca o mascone. Il religioso in questione è Don Giuseppe Ponzo, un vero punto di riferimento per la comunità, a cui i suoi compaesani attribuivano poteri magici

Parroco di Baracco per cinquant’anni, Don Ponzo, classe 1864, era in grado di comandare i roditori, le formiche e gli insetti che danneggiavano i raccolti o infestavano le case. Una volta interpellato, Don Ponzo raggiungeva  le persone bisognose di aiuto e, grazie alla preghiera, riusciva ad esempio a dirottare gli animali verso un luogo sicuro, al riparo dalle intemperie. 

Inoltre, si narra che avesse la capacità di scongiurare grandine o altri fenomeni meteorologici dannosi per le campagne e potesse far piovere per prevenire la siccità. In poche parole, un almanacco vivente tanto rispettato quanto temuto.

Sempre a Baracco, figure altrettanto particolari e considerate masche, erano le levatrici. In condizioni di estrema povertà e precarietà assoluta, soprattutto dal punto di vista igienico-sanitario, queste donne erano le antenate delle moderne ostetriche. In quanto tali, rappresentavano la salvezza o la sventura delle future mamme, a seconda di come andava il parto. Spesso, infatti, le levatrici venivano accusate di provocare la morte dei nascituri o di rapire i neonati. Perciò, venivano allontanate dalla comunità, con grande rabbia degli abitanti, a partire dal parroco. 

Baracco in festa con Maske in una notte di mezz’estate

Per rievocare queste storie del passato, Baracco si trasforma nel paese delle masche, o meglio delle maske. Quest’ultima grafia è utilizzata dal kyé, particolare dialetto piemontese parlato in alcune valli del Monregalese meridionale, come la Valle Ellero, di cui Baracco fa parte, la Valle Maudagna e la Valle Corsaglia. 

Ciò avviene infatti da una decina di anni durante il secondo fine settimana di luglio grazie all’evento: Maske in una notte di mezz’estate. Il titolo evoca la commedia di William Shakespeare: Sogno di una notte di mezza estate, in quanto le fairies (fate tradotto in modo letterale) shakespeariane presentano molti elementi in comune con le masche o maske piemontesi.

In particolare, il sabato è scandito da attività per grandi e piccini con:

  • giochi
  • convegni culturali
  • rappresentazioni teatrali
  • passeggiate pomeridiane e notturne nel bosco

Il tutto culmina con la cena e il falò della Maska

Prea, frazione di Roccaforte di Mondovì, visibile dal basso durante la camminata enogastronomica

La domenica, invece, è dedicata a un’escursione enogastronomica. A seconda dell’edizione, può essere la Sgambatà, come nel 2022, o la Maskaratona degli anni precedenti. Personalmente ho partecipato alla Sgambatà, con partenza da Roccaforte di Mondovì e arrivo a Baracco, attraverso le frazioni di Dho, Norea e Prabertello. Il percorso tra boschi e antiche borgate è scandito da diverse tappe per ammirare il paesaggio e gustare i prodotti locali: salumi, frittate, pizzette, focaccine, formaggi e l’immancabile polenta. 

Una volta arrivatə a Baracco, un giro nel paesino che, in occasione della manifestazione, è ancora popolato dalle maske grazie alle decorazioni e allestimenti scenici del giorno prima, è d’obbligo. Qui, nel 2022, è stato inaugurato il piccolo ecomuseo: La neve racconta, che guida il visitatore alla scoperta di antichi cimeli delle famiglie di Baracco tra le storie extraordinarie dei suoi abitanti e le testimonianze della Resistenza partigiana, dei lavori agricoli e domestici. Anche questa una bella scoperta!

Catlina e il gatto nero: la testimonianza di Mario Proglio

Non potevo concludere questo articolo senza prima raccontarti la storia di una masca che ancora oggi da una generazione all’altra fa vacillare la razionalità e turba profondamente gli animi di più di una famiglia, a tal punto da richiedere riserbo e omissione di alcuni dettagli. Si tratta di un racconto che ho ascoltato in una delle mie avventure alla scoperta del territorio. Il suo narratore, a cui sono molto grata per la grande disponibilità, è Mario Proglio.

La protagonista della storia, ambientata nella Langa di metà Ottocento, si chiamava Carlota, meglio conosciuta come Catlina, il nome della morte in dialetto langarolo. I suoi compaesani cominciarono a chiamarla così quando il marito Giovanni, detto Giuvanetu, morì giovane in circostanze misteriose.

Dopo la scomparsa del consorte Catlina diventò la matriarca della famiglia, dove lasciava poco spazio e centellinava i soldi ai figli e alle nuore. Vivevano tutti insieme in una grande casa su tre piani. Seppur benestanti, i familiari di Catlina facevano una vita di stenti, privandosi anche delle cose essenziali. Questo paradosso suscitava scalpore in un contesto di miseria dilagante, al limite della sopravvivenza.

I poteri di Catlina

Invecchiando, la donna diventava sempre più tirchia. Camminava zoppicando, con l’aiuto di un bastone, e i suoi passi erano inconfondibili, ben percepibili dai parenti che abitavano al piano di sotto. Presto l’anziana assunse comportamenti insoliti e preoccupanti. Ad esempio, cominciò a parlare in modo bizzarro, ripetendo ogni tanto frasi e interi discorsi in una lingua in apparenza sconosciuta. Interpellati prima il dottore poi il parroco del paese, si scoprì che Catlina parlava perfettamente latino, pur essendo analfabeta.

A causa di queste stranezze, in paese cominciarono a ritenerla una masca, incolpandola di piccoli e grandi inconvenienti della vita quotidiana. In famiglia la consideravano semplicemente una megera, sottovalutandone i poteri.
Nel frattempo, pochi centesimi alla volta, le nuore e i figli mettevano da parte qualche soldo per comprare delle tisane alle erbe e dei biscotti, che consumavano dopo che la vecchia era andata a dormire. L’indomani mattina, appena scesa, la nonna li rimproverava per aver agito di nascosto e sapeva esattamente cosa e quanto avessero mangiato e bevuto.

stufa a legna antica con vasetti di fiori

Le provarono tutte per non farsi scoprire, cambiando luogo di bisboccia e cancellando qualsiasi traccia delle loro serate. Nonostante ciò, l’anziana era sempre a conoscenza dei loro spuntini serali. A un certo punto, notarono un gatto nero, che non avevano mai visto prima, accovacciato sul davanzale che osservava i loro movimenti.

La presenza del felino diventò una costante e un dubbio assalì i familiari dell’anziana, il quale prese consistenza una volta appurato con grande stupore che dopo cena il letto della nonna era vuoto. Allora, studiarono una trappola per verificare cosa si nascondesse in quel gatto nero. Fecero bollire un pentolone d’acqua (alcuni dicono d’olio) e appena scorsero il micio glielo buttarono addosso, prendendolo sul fianco sinistro. L’animale scappò lanciando urla stridenti.

gatto nero

Il giorno seguente la nonna, sempre molto mattiniera, non si alzava. Diceva che stava poco bene e non voleva ricevere nessuno in camera. Dopo tre giorni figli e nuore entrarono con la forza e videro che era tutta bruciata sul lato sinistro. Venne il dottore controvoglia, sostenendo di non poter fare nulla, mentre la donna emetteva urla disumane. Chiamarono il parroco, che si rifiutò di avvicinarsi a lei e rimase nella camera accanto. Prima di scappare, il religioso sostenne che la moribonda stava gridando cose irripetibili e non per il dolore.

Al figlio la masca confidò di non poter morire senza prima lasciare in eredità il Libro del Comando e gli chiese di cercarlo. Fino a qui la storia è più o meno simile per tutti coloro che l’hanno raccontata a Mario Proglio. Ognuno ha aggiunto particolari tali da completare la narrazione. Poi le testimonianze sono divergenti e non concordanti. Infatti, ci sono tre versioni del finale. La terza ha riscontri drammatici fino ai giorni nostri e non può per questo essere scritta, ma tramandata solo oralmente, secondo le antiche tradizioni di Langa.

La fine della masca Catlina

Secondo una versione, si racconta che i figli trovarono il Libro del Comando, lo buttarono nel fuoco e Catlina morì subito. Altri dicono che, dato alle fiamme, il Libro del Comando bruciò solo in parte, così chiamarono il parroco per benedire il volume. Tuttavia, il religioso prese le distanze, affermando che era molto pericoloso e che lui non era in grado di intervenire, in quanto avrebbe dovuto informare il Vescovo.

Catlina, intanto, continuava a lamentarsi. I suoi versi animaleschi attiravano i curiosi, ma erano così insopportabili che, dopo averli sentiti per strada, le persone se la davano a gambe levate. Il Libro del Comando leggermente bruciato era ancora nella casa e nessuno, nemmeno il parroco, osava toccarlo. Arrivò poi un’anziana forestiera che sosteneva di aver superato il rito di iniziazione per diventare una masca, prese il Libro del Comando e Catlina morì.

Secondo, invece, un’altra versione, malgrado le intense ricerche, figli e nuore non trovarono il tanto agognato volume. Alla fine Catlina morì dopo una lunga agonia, senza trasmettere il Libro del Comando. Così gli spiriti maligni rimasero nella casa. Per molti anni si sentivano, quasi ogni notte, i passi inconfondibili di Catlina. Il fantasma della masca scendeva ai piani inferiori, batteva il bastone e manifestava la sua presenza in mille altri modi…

Conclusioni sulle masche

L’identikit della masca corrispondeva alla pecora nera della comunità. Si trattava del perfetto capro espiatorio, su cui addossare qualsiasi colpa, disgrazia o fenomeno inspiegabile di una vita grama. Quella era l’esistenza condotta dai nostri nonni e bisnonni secoli fa.

Chi viveva ai margini della società e non era più considerato produttivo, diventava facile bersaglio di pregiudizi e maldicenze. Ciò avveniva per donne anziane, sole, perciò più deboli e senza alcun sostegno né protezione.

Stesso discorso valeva per i forestieri, come gli zingari, o per persone con disabilità fisiche o psichiche. Non venivano nemmeno risparmiati coloro che si mostravano curiosi, colti e istruiti. Questi, infatti, amavano studiare su quei libri, spesso scambiati per strumenti magici e assimilati al Libro del Comando.

Tornando ai giorni nostri, se ci pensi sia la storia ufficiale che la cronaca quotidiana sono scandite da episodi di odio e violenza nei confronti di chi è diverso. Episodi più o meno noti alimentati dall’ignoranza e dalla paura verso qualcuno o qualche cosa che non si conosce.

Le masche di oggi potrebbero essere gli immigrati, i membri della comunità LGBT, i diversamente abili. La masca potrebbe diventare chi professa un credo diverso da quello maggioritario del Paese in cui vive. Più in generale, la masca potrebbe essere chi esprime idee alternative, in controtendenza rispetto alla massa.

Che cosa ne pensi di questa mia ultima considerazione?
È azzardata e risuona più come una provocazione
o è una verità condivisibile?

Mentre, per quanto riguarda le masche, ne avevi già sentito parlare? Dalle tue parti esistono personaggi simili o ce ne sono altri?
Raccontamelo nei commenti: sono troppo curiosa di leggere altre storie!

Fonti:

  • Feste, masche, contadini , Gian Luigi Bravo, 2005, Carocci Editore.
  • Streghe, Grado Giovanni Merlo, 2006, Il Mulino.
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4 thoughts on “Le masche in Piemonte: storie di magia tra streghe e demoni

    1. Cristina Bertolino says:

      Grazie a te del commento, Marco! Mi fa molto piacere che il mio articolo sia riuscito ad evocare dei ricordi della tua infanzia. In effetti, anche la Langa è un territorio che custodisce storie e leggende ricche di fascino, magia e mistero!

  1. Bonsoir Cristina, merci pour toutes ces précisions sur les masche.
    J’aime bien ta conclusion et le parallèle avec la société d’aujourd’hui.
    Par ailleurs j’ai découvert le Teit Marin qui est magnifique !!
    Bravo Cristina de nous transmettre toutes ces histoires qui me font mieux connaître la région où je suis née..
    Rina

    1. Cristina Bertolino says:

      Merci à toi, Rina, pour l’intérêt et le temps que tu dédies à la lecture de mes articles, même si ils sont écrits en italien😅

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