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Storia della Resistenza partigiana a Cuneo e nelle sue valli fino alla Liberazione

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La Resistenza partigiana fu una delle pagine più extraordinarie della Storia italiana durante la Seconda Guerra Mondiale, tanto da essere definita Secondo Risorgimento. I suoi protagonisti furono uomini e donne comuni, non solo militari ma anche civili. Dalle città più o meno grandi, come Torino e Cuneo, fino agli sperduti paesini delle valli montane e delle colline, queste persone si opposero al regime nazifascista, in base alle loro possibilità. 

Opera rappresentante un partigiano

Chi imbracciò le armi e diventò partigiano. Chi collaborò con i partigiani stessi, trasmettendo informazioni, nascondendoli in casa, fornendo loro armamenti e beni di prima necessità. Tutto ciò a rischio della propria vita, di quella dei propri cari e dell’intero paese di appartenenza. Dopo gli episodi di guerriglia partigiana, nel triennio 1943-1945, le comunità locali patirono pestaggi, torture, stupri, fucilazioni, deportazioni, saccheggi, incendi, in una parola: rastrellamenti nazifascisti

Per avere in cambio che cosa? La libertà, o meglio la Liberazione dell’Italia dall’occupazione nazifascista il 25 aprile 1945. Questo traguardo portò poi alla tanto agognata democrazia repubblicana costituzionale dopo il lungo Ventennio fascista e la monarchia esautorata. 

Dalla Resistenza partigiana italiana alla Resistenza cuneese

Quarta Banda in movimento da Paraloup con destinazione Vallone dell’Arma

Eccolo qui: il riassunto della Resistenza italiana, a cui però manca un’importante premessa. Mi riferisco all’innesco di tutte quelle storie partigiane extraordinarie: alcune giunte fino ai giorni nostri, molte condannate all’oblio per sempre. E proprio per resistere al passare del tempo e per mantenere viva la memoria, sono andata al di là delle vicende narrate dalla grande Storia. Resta su questa pagina per capire come! 

Scoprirai quando e come nacque la Resistenza italiana, che trovò a Cuneo e nelle sue valli tra le sue più coraggiose espressioni. Inoltre, ti guiderò in un viaggio negli stati d’animo dei protagonisti di quei momenti così tragici e concitati. Il tutto in questo articolo del blog, in cui racconto la storia della Resistenza partigiana nel Cuneese.

La caduta del fascismo e l’armistizio: il caos all’italiana

Per molti nostri connazionali la Resistenza si rivelò la naturale reazione sia personale che comunitaria a un’azione centrale, tanto confusa quanto ambigua. Quest’ultima iniziò a delinearsi dal 25 luglio 1943, per poi manifestarsi in tutta la sua assurdità l’8 settembre 1943.

La prima data corrispose alla caduta del regime fascista, guidato da Benito Mussolini, con il conseguente arresto del Duce, per ordine del re Vittorio Emanuele III. La seconda, invece, vide la proclamazione dell’armistizio con gli anglo-americani da parte del Maresciallo Badoglio, allora capo del governo italiano, subentrato a Mussolini. Ciò avvenne dopo aver chiesto ai tedeschi di inviare consistenti rinforzi in Italia per difenderla dagli invasori. Il tutto nel maldestro tentativo di nascondere le trattive avviate con gli Alleati.

Dopo l’annuncio della tregua, Badoglio abbandonò Roma insieme al re Vittorio Emanuele III e a suo figlio Umberto per fuggire alla volta di Brindisi. Tale circostanza gettò l’Italia, in primis l’esercito, nel caos più totale. Senza ricevere alcun ordine, i militari non seppero più cosa fare.

Cuneo, 26 luglio 1943

Già il giorno successivo alla caduta del fascismo, Cuneo era in fermento. Il 26 luglio 1943, infatti, l’Avvocato antifascista Tancredi Achille Giuseppe Olimpio Galimberti, detto Duccio, chiamò a raccolta il maggior numero possibile di persone sotto la sua casa e studio legale. Dal balcone che si affacciava sull’allora Piazza Vittorio Veneto, rinominata poi Piazza Galimberti, pronunciò un discorso, diventato poi celeberrimo. Le sue parole risuonarono come una vera e propria dichiarazione di guerra contro i nazifascisti:

La guerra continua fino alla cacciata dell’ultimo tedesco e alla scomparsa delle ultime vestigia del fascismo…

Alcuni ne ignorarono il significato. Altri compresero che erano una chiamata alle armi, tra questi sia i suoi sostenitori che i suoi nemici. Per i primi Duccio diventò un leader, il cui impegno venne poi riconosciuto attraverso la Medaglia d’Oro al Valor Militare, la Medaglia d’oro della Resistenza e la proclamazione di Eroe nazionale dal CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) piemontese. Per i secondi, invece, fu prima un sorvegliato speciale e poi un bersaglio da eliminare a tutti i costi.

Ci sarà di sicuro modo di approfondire la storia di Duccio Galimberti in un altro articolo. Tuttavia, per darti l’idea del coraggio e della grandezza di quest’uomo, ti basti pensare che, pur nel mirino dei nazifascisti, durante il coprifuoco si recò a Centallo per far visita alla famiglia della mia compaesana Maria Isoardo, assassinata da un soldato tedesco per essersi opposta a un tentativo di violenza sessuale. Il tutto per esprimere la propria vicinanza e rendere omaggio alla giovane donna che Duccio stesso definì una martire.

Cuneo, 8 settembre 1943

Al discorso di Duccio Galimberti, seguì l’8 settembre 1943 l’annuncio dell’armistizio che si rivelò subito di difficile interpretazione, provocando così malintesi e disordini ovunque.

Riconoscendo, infatti, la superiorità degli Alleati, il proclama letto alla radio, stabilì:

la fine di ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane da parte delle forze italiane in ogni luogo

per poi far presagire:

eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza

a cui l’esercito italiano avrebbe dovuto rispondere.

Nelle città, come a Cuneo, ad esempio, molti abitanti scambiarono la resa per la fine della guerra, così si riversarono per le strade e nelle piazze, esultando. I militari, invece, intuirono lo sfascio del Paese, al pari dello sbando delle loro stesse truppe.

Cuneo si vide invasa dai soldati della Quarta Armata e della GAF (Guardia Alla Frontiera), provenienti dal fronte italo-francese. Seguiti da circa 800 ebrei, che intrapresero un esodo da Saint Martin Vésubie attraverso il Colle di Finestra e il Colle di Ciriegia, per arrivare rispettivamente a Entracque e Valdieri, i militari abbandonarono armi e postazioni alla ricerca forsennata di abiti civili, in preda a una disperata confusione.

Molti tentarono di ricongiungersi con le loro famiglie, grazie ai treni stracolmi o ad altri mezzi di fortuna. In questo fuggi fuggi generale, ci fu anche chi rimase o raggiunse la propria caserma. In un alternarsi di speranza e rassegnazione, attese invano disposizioni da parte di superiori inesistenti, per poi essere braccato dalle truppe tedesche, ormai acerrime nemiche. Queste ultime invasero Cuneo il 12 settembre, cercando di catturare il maggior numero di soldati italiani possibile, per poi deportarli nei campi di concentramento. E quale fu il destino di chi riuscì a sfuggire ai tedeschi? 

Repubblichini, partigiani, sbandati e delinquenti: una scelta di vita

La risposta è molto più complessa di quanto si possa immaginare, proprio per l’ingarbugliata situazione che andò a prefigurarsi. 

Repubblichini

C’era chi continuò a rimanere fedele o aderì al fascismo, rilanciato attraverso la Repubblica di Salò, cioè il regime collaborazionista della Germania nazista, che Benito Mussolini fondò poco dopo l’Armistizio, i cui aderenti presero il nome di repubblichini.

Partigiani

Molti degli oppositori al nazifascismo diventarono partigiani, confluendo nella bande che man mano si organizzarono per la lotta armata. Pur accomunate dallo stesso obiettivo, queste compagini erano molto diverse tra di loro e, a differenza di quanto si creda, non erano solo comuniste. 

Le più diffuse nel Cuneese, i cui combattenti portavano al collo un fazzoletto di un colore diverso come elemento distintivo, erano:

  • Garibaldi con fazzoletto rosso -> organizzate dal partito comunista nella Valle Grana e Valle Po.
  • Giustizia e Libertà con fazzoletto verde -> emanazione del Partito d’Azione (centro-sinistra), nata dalla prima formazione partigiana Italia Libera. Quest’ultima venne fondata da una decina di uomini, tra cui Dante Livio Bianco e Duccio Galimberti un paio di giorni dopo l’Armistizio a Madonna del Colletto, per poi trasferirsi a Paraloup, sopra Rittana, in Valle Stura, a cui si unì anche Nuto Revelli.
  • Matteotti con fazzoletto rosso scuro -> di ispirazione socialista (PSUP).
  • Autonomi -> suddivisi in monarchici con fazzoletto azzurro e derivati dal Movimento Unitario di Rinnovamento Italiano (partito liberale e centrista) con fazzoletto giallo.

Nonostante le vedute differenti, più o meno politiche oppure più o meno militari, le varie formazioni partigiane iniziarono a collaborare, superando piccole e grandi divergenze, spesso presenti anche all’interno della stessa formazione. Esse avevano tutte la stessa origine.

Duccio Galimberti a Paraloup insieme a Livio Bianco, Dado Soria e Dino Giacosa

Lo spiega bene nell’opera: Il mio cuore è con loro Riccardo Assom, fondatore dell’Ecomuseo della Resistenza “Il Codirosso” di Lemma, trasferito poi a Rossana, in Val Varaita, figlio di un partigiano garibaldino, ricercatore e studioso delle vicende della Resistenza italiana

All’interno di ogni formazione si registrarono spesso presenze ideologiche diverse. In considerazione di come il fascismo avesse monopolizzato la cultura politica, a molti giovani mancava una visione chiara delle linee ideologiche dei partiti clandestini. Queste quindi erano in embrione e tanti combattenti pervennero ad un maturo ideale soltanto verso la fine del conflitto.

Distaccamento garibaldino con al comando Ernesto Casavecchia (quarto giovane in piedi da destra) durante la Resistenza partigiana in Valle Varaita

Sbandati neutrali

Ma ci fu anche chi non prese alcuna posizione, per paura di essere deportato oppure ucciso da una o dall’altra fazione e presagendo ritorsioni ai danni dei propri cari. Anche non scegliere con chi schierarsi si rivelò comunque una strada alquanto impervia, che relegò questi uomini alla clandestinità, con il costante timore di venir accusati di essere dei disertori o dei collaborazionisti dei nazifascisti a seconda dei punti di vista.

Sbandati delinquenti

Oltre ad essi, ci furono anche dei delinquenti che, soprattutto all’inizio, si confusero tra i partigiani e vennero identificati come tali dalla popolazione, minando la reputazione dei veri guerriglieri.

Come ricorda nel suo libro: La Guerra dei Poveri, Nuto Revelli, ex ufficiale degli Alpini, nonché reduce dalla Russia, e poi capo partigiano:

Il fenomeno del banditismo si sta allargando. Ex militari sbandati della 4ª armata e delinquenti locali, mascherandosi alla partigiana, terrorizzando le popolazioni. Basta un cappello alpino, una giubba grigioverde, per confondere le acque. Tanti ne pescheremo, tanti ne fucileremo. Se vorremmo evitare che i tedeschi e i fascisti facciano di ogni erba fascio, speculandoci su per diffamarci, non dovremo perdonare.

Nuto Revelli in piedi al centro con un nucleo di partigiani nel Vallone dell’Arma

E fu per questo motivo che Nuto arrivò in un primo momento a questa drammatica constatazione:

Non è un delitto, oggi, ammazzare un partigiano. Tutt’altro.

Infatti:

Ai margini delle formazioni partigiane, gruppi di sbandati e di delinquenti locali svolgono un’attività terroristica sempre più preoccupante. Ex militari, disertori o rifiuti delle bande, che mal sopportavano l’inquadramento e la disciplina, vivono di furti e grassazioni.

La struttura delle formazioni partigiane

A proposito di inquadramento, dopo un primo momento concitato di libera iniziativa, le bande partigiane si organizzarono in modo sempre più efficace ed efficiente in base a una struttura paramilitare, di ispirazione politica. Quest’esigenza diventò sempre più impellente con l’aumento considerevole dei combattenti volontari.

La composizione tipo di una formazione partigiana prevedeva: 

  • Comando generale
  • Divisione
  • Brigata
  • Battaglione
  • Compagnia o Distaccamento, costituito da 10-15 membri, talvolta diviso in squadre
  • Squadre
  • Nucleo

In particolare, al vertice delle Brigate Garibaldi vi erano: 

  • un Comandante militare
  • un Commissario Politico, introdotto in un secondo momento, con pari poteri militari ma incaricato della preparazione politica dei volontari, del loro benessere psico-fisico e della loro adesione ai valori politici della brigata.

Associati alle Brigate Garibaldi c’erano i Gruppi di Azione Patriottica (GAP), che nelle città effettuavano azioni di sabotaggio e attentati contro i nazifascisti. Le tattiche tradizionali non funzionavano con un nemico così efficiente, preciso e attrezzato. L‘effetto a sorpresa delle azioni terroristiche partigiane, invece, destabilizzò e non poco i soldati del Terzo Reich.
Sempre le Brigate Garibaldi si dotarono dal gennaio 1944 di Volanti, che svolgevano missioni temerarie per la sussistenza della brigata stessa. 

La Resistenza partigiana cuneese: dalla pianura alla montagna

La Resistenza cuneese si diramò da Cuneo, per poi tessere una rete sempre più fitta tutt’attorno alla città, da cui provenivano anche i rifornimenti sia alimentari che bellici. Questi garantivano anche la sopravvivenza dei partigiani che si rifugiarono in montagna, nelle Valli Stura, Po, Gesso, Varaita, Pesio e Casotto e sulle colline delle Langhe. Qui i boschi si rivelarono prima degli intricati nascondigli e poi dei sanguinosi scenari di battaglie, imboscate e sabotaggi di strade e ponti.

I partigiani, infatti, poterono contare sia su una profonda conoscenza del territorio sia sul sostegno dei piccoli centri abitati. Ciò permise ai guerriglieri di fronteggiare la superiorità numerica e bellica dei tedeschi, nonostante questi ultimi contassero sulla collaborazione dei fascisti e di spie o di informatori radicati sul territorio. 

Tuttavia, i partigiani avevano il loro asso nella manica, rappresentato per lo più dalle donne. Alcune si unirono alla lotta armata, molte fornirono ai partigiani vitto, alloggio e soccorso, in caso di ferimenti. Altre ancora assunsero il ruolo tanto cruciale quanto pericoloso di staffette.

A bordo di biciclette, dove nascondevano biglietti nel manubrio o nella camera d’aria delle gomme, oppure su corriere o treni, come ricordava Nuto Revelli:

Le staffette, viaggiando, formano una catena di informazioni quasi sicure: se arrivano dal fondo valle mi parlando dei tedeschi, se arrivano dall’alta valle mi parlano dei partigiani.

Inoltre, il movimento partigiano cuneese si dotò anche di una struttura di informazione e controspionaggio, il Servizio X, guidato da due collaboratori di Galimberti: Dino Giacosa e Aldo Sacchetti.

Rastrellamenti ed eccidi

Fin dalle prime azioni di guerriglia partigiana, i nazifascisti risposero con veri e propri massacri, tentando di reprimere sul nascere qualsiasi tentativo di resistenza da parte dei partigiani e delle comunità locali.

La loro prima dimostrazione di brutalità in Italia, i nazisti la diedero il 19 settembre 1943 durante l’eccidio di Boves, a cui ne seguì poi un secondo tra il 31 dicembre 1943 il 3 gennaio 1944. Il paese ai piedi della montagna Bisalta venne dato alle fiamme dai militari guidati dal maggiore delle SS Joachim Peiper, di cui ho già scritto nell’articolo dedicato a MEMO 43-45, in quanto fu lui (tre giorni prima dell’eccidio di Boves del settembre 1943) a ordinare la conversione dell’ex caserma degli alpini di Borgo San Dalmazzo in un campo di concentramento.

Tornando all’eccidio di Boves, 350 case vennero date alle fiamme e 23 civili persero la vita, di cui l’imprenditore Antonio Vassallo e due sacerdoti (da poco beatificati): Don Giuseppe Bernardi e il suo vice Don Mario Ghibaudo, all’epoca ventitreenne. Oltre a loro, c’era anche il cognato di mia nonna materna, Stefano Vallauri. Da Vernante scese a piedi fino a Boves per recuperare della farina, con cui sfamare la propria famiglia e si ritrovò nel momento sbagliato al posto sbagliato. Una scarica di mitra gli attraversò il corpo, condannandolo a una morte lenta e dolorosa dopo un paio di giorni di agonia.

Più la Resistenza partigiana diventò ostinata, più i nazifascisti risposero con rappresaglie sempre più efferate, proprio come ricorda Nuto Revelli ne: La guerra dei poveri.

La popolazione, chiusa in casa, prega o bestemmia così come se la sente. […] Sta per ripetersi la stessa storia, l’aria è piena di disperazione. Non si sa a chi toccherà, ma morti ce ne saranno, e incendi, deportazioni, torture, come sempre. Arriveranno i tedeschi per combattere, i fascisti per terrorizzare. Superano i tedeschi questi goffi italiani, canaglie specializzate per incendiare, ricattare, impiccare, sporchi nell’animo e nelle divise, con quel nero sul grigioverde, come se portassero indosso il lutto e il terrore.

Il pericolo dietro a ogni angolo

A rendere ancora più ardua la lotta contro i nazifascisti si aggiunse un’istituzione che svolse la sua attività principalmente nel Cuneese e in provincia di Milano. Si trattava della Legione Autonoma Mobile Ettore Muti, una formazione irregolare, con compiti di polizia politica e militare. Le sue caratteristiche erano la scarsa disciplina e l’uso indiscriminato della violenza nei confronti della popolazione.

A Cuneo, questa fu l’evoluzione di una Brigata Nera, con sede dal 1944 in Corso IV Novembre in una parte dell’attuale Istituto di Istruzione Superiore “Sebastiano Grandis”. Prima della Muti, l’edificio ospitò la Casa del Balilla e la Casa della Giovane Italiana, istituzioni fasciste con scopi assistenziali e ricreativi.

Una delle tante storie extraordinarie di resistenza partigiana

Lavorando in un edificio all’angolo di Corso IV Novembre, che ho poi scoperto essere stato la sede della Federazione Fascista Agricoltori, ogni giorno mi capita di passare davanti alla lapide commemorativa del partigiano Alessandro (Sandro) Delmastro.

Partito da Torino, il comandante della brigata Giustizia e Libertà in Val Pellice era in missione, diretto a Demonte per salvare dei compagni tramite uno scambio di prigionieri. Tuttavia, dopo essere stato catturato a un posto di blocco a Borgo San Dalmazzo, Delmastro tentò la fuga, ma venne ucciso il 4 aprile 1944 in Corso IV Novembre proprio da un soldato (quindicenne) della vicina Muti. Testimone oculare dell’omicidio la moglie di Nuto Revelli, Anna, che vide la scena dalla finestra di casa sua.

Dopo qualche ricerca, ho scoperto che Sandro Delmastro era un compagno di università di Primo Levi, nonché suo caro amico e compagno di escursioni alpinistiche. Di lui, che diventò (col nome di Carlo) il protagonista di uno dei racconti della raccolta: Il Sistema periodico, Primo Levi scrive che era:

generoso, sottile, tenace, coraggioso

e che:

Non era uomo da raccontare né da fargli monumenti, lui che dei monumenti rideva: stava tutto nelle azioni, e, finite quelle, di lui non resta nulla; nulla se non parole, appunto.

Se di Sandro Delmastro rimangono solo parole, quelle che scrisse in una lettera alla sua fidanzata suonano ancora oggi come un manifesto della Resistenza, un testamento partigiano:

Ma vi è qualcosa… che va oltre la vita e che trascende il senso della realtà momentanea, dà un significato al dolore e al sacrificio, anche quando sembra che tutto sia perduto… Ciò che importa è l’ideale cui si deve improntare la nostra effimera esistenza su questa terra…

Dalla montagna alla pianura verso la Liberazione di Cuneo, 29 aprile 1945

Ogni volta che la Repubblica di Salò emanava un nuovo bando di arruolamento, i giovani disertori, a rischio fucilazione, si univano alle formazioni partigiane, ingrossandone le fila. La loro convinzione venne presto messa a dura prova. Nonostante la liberazione di Roma il 4 giugno 1944 e lo Sbarco in Normandia degli Alleati due giorni dopo, i nazifascisti continuarono a contrastare i partigiani. Si dedicarono, infatti, a imponenti manovre per riprendere il controllo dei valichi alpini tra Italia e Francia, al fine di assicurarsi una via di fuga per la ritirata verso est.

Proseguirono le offensive e i rastrellamenti nel Cuneese, in seguito ai quali le bande partigiane optarono per uno spostamento verso la pianura e per un ridimensionamento. Al fine di sfuggire al controllo nazifascista, la calata avvenne attraverso delle lunghe marce notturne. Di giorno, invece, i partigiani goderono della protezione e dell’ospitalità nelle cascine di campagna da parte di coraggiosi collaboratori della Resistenza. Mentre la guerriglia in montagna continuava, la pianurizzazione partigiana permise ai combattenti di essere sempre più attivi nei fondivalle, di migliorare l’efficacia delle loro azioni di sabotaggio, intensificandole.

Così si organizzò la liberazione della pianura, che attraverso il Piano E27 vide la Liberazione del Cuneese, dalle valli in giù. L’insurrezione venne fissata per il 26 aprile 1945, mentre le truppe tedesche ripiegarono verso la Germania. L’attacco a Cuneo iniziò il 28 aprile e, al termine di una giornata di combattimenti, i tedeschi si ritirarono. Il 29 aprile Cuneo era finalmente libera.

La Resistenza partigiana: una storia senza fine

C’è ancora tanto, tantissimo da raccontare sulla storia della Resistenza partigiana a Cuneo e nelle sue valli. Allo stesso tempo ci sono altrettante storie di partigiani da diffondere e da approfondire. Quella della Resistenza italiana, e nello specifico cuneese, è una storia scritta tanto da personaggi illustri quanto da gente comune. A loro non possiamo che rivolgere la nostra più grande ammirazione e profonda gratitudine. Senza il loro sacrificio, coraggio, determinazione, altruismo e fame di libertà, spesso portati agli estremi con la perdita della vita, io, tu, noi come Paese libero, democratico e costituzionale non esisteremmo.

Perciò, di fronte ai tentativi più disparati (purtroppo anche da parte di esponenti politici odierni) di minimizzare, strumentalizzare, gettare ombre o di infangare la memoria di chi operò nella e per la Resistenza partigiana, è nostro dovere civico prima di tutto documentarci per poi prendere chiare posizioni di condanna e non far finta di niente. L’ignoranza al giorno d’oggi è inammissibile. L’indifferenza nei confronti della Resistenza, al pari della sua denigrazione e svalutazione, ne uccide il ricordo.

La memoria della Resistenza partigiana a Cuneo nelle sue valli

Alleati della valorizzazione e della memoria sono i tanti luoghi, iniziative e associazioni che raccolgono testimonianze e documenti sulla Seconda Guerra Mondiale e, in modo particolare, sulla Resistenza. Tali espressioni si rivelano fondamentali, soprattutto in concomitanza con la scomparsa della maggior parte dei testimoni.

A Cuneo

A Cuneo ricordiamo:

  • l’A.N.P.I. (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) con la sede di Cuneo

Nei dintorni di Cuneo

Per la redazione di questo articolo, io ne ho visitati due che ho trovato molto preziosi e interessanti. Li ho già citati all’inizio del blog post e sono:

  • l’Ecomuseo della Resistenza “Il Codirosso” di Rossana, gestito da un gruppo di volontari che mi hanno accolta con grande disponibilità e preparazione per guidarmi in una visita tra le tre sale del museo. Ognuna di esse è dedicata a un anno della Resistenza partigiana, con un focus particolare sulla Valle Varaita. Grazie alle spiegazioni di Paolo e Teresio, ho viaggiato nel tempo tra bellissime foto, pannelli informativi ben spiegati e una vasta gamma di cimeli della Seconda Guerra Mondiale, appartenuti sia ai partigiani e che ai nazifascisti.
  • la Borgata Paraloup sopra a Rittana, in Valle Stura, sede di un centro culturale, con il Museo dei Racconti, il Laboratorio Anello Forte (dedicato alle donne delle Resistenza) l’archivio cineteca e un teatro all’aperto in quota. Questi spazi sono spesso location di eventi dedicati alla montagna e alla Resistenza, alcuni dei quali sono organizzati in collaborazione con la Fondazione Nuto Revelli.

Questi due luoghi fanno anche parte di una rete di itinerari escursionistici ben segnalati nelle valli cuneesi. Si tratta dei Sentieri della Libertà, percorsi sulle tracce dei partigiani e degli ebrei in fuga dalla Francia nel settembre del 1943.

Sono inoltre stata al cospetto del Sacrario ai Caduti della Seconda Guerra Mondiale a Boves, sotto il porticato che collega Piazza Italia a Piazza Borelli.

La visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Il Monumento alla Resistenza, il Museo-Casa Galimberti a Cuneo, il Memoriale alla Deportazione a Borgo San Dalmazzo MEMO4345 e il Sacrario ai Caduti di Boves rappresentano le tappe del viaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 25 aprile 2023. La massima carica dello Stato ha infatti scelto di celebrare questa ricorrenza proprio nel Cuneese. Tutto ciò è avvenuto per riconoscere e ricordare il sacrificio delle persone che contribuirono in modo così preponderate ed eroico per la Liberazione dell’Italia dal Nazifascismo e per la nostra libertà.

Conoscevi la storia della Resistenza partigiana nel Cuneese? E i luoghi che ho visitato e che ha anche visitato il Presidente della Repubblica, li hai già visti anche tu? Ce ne sono molti altri che mi aspettano: me ne sai consigliare qualcuno che ti ha colpito in particolare? Fammi un po’ sapere che sono molto curiosa di leggere un tuo commento!

Bibliografia

Le informazioni contenute in questo blog post sono tratte dai libri: La Guerra dei poveri di Nuto Revelli e Il Cammino nella Resistenza | Dalla Valle Varaita alla Valle Belbo di Paolo Calvino. Inoltre, come già riportato sopra, sono frutto delle visite presso il Museo Casa Galimberti a Cuneo, l’Ecomuseo della Resistenza “Il Codirosso” di Rossana, dove ho anche scattato le immagini delle sale interne coi rispettivi manichini e cimeli della Seconda Guerra Mondiale, e la Borgata Paraloup.

Per approfondimenti: Cuneo, la guerra e la liberazione: itinerari di Sergio Costagli.

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2 thoughts on “Storia della Resistenza partigiana a Cuneo e nelle sue valli fino alla Liberazione

  1. Ce blog est d’autant plus touchant qu’il touche notre famille… merci d’avoir fait revivre cette période éprouvante où les personnes se sont battues pour la liberté et y ont laissé leur vie.
    Je ne connaissais pas l’histoire de la résistance partisane de Cuneo, tu l’as très bien décrite avec toutes les photos qui nous mettent dans le contexte.
    Merci pour tout ce temps passé Cristina, il m’a bien éclairé sur ce tragique évènement
    Rina

    1. Cristina Bertolino says:

      Merci, Rina! En effet, c’est incroyable à quel point la grande histoire affecte la vie quotidienne des gens ordinaires, comme dans le cas de notre famille et, en particulier, de Stefano Vallauri😔

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